Sei tentato di rivendere l’attico che hai acquistato di recente come investimento locativo e che stai faticando ad affittare? Tieni presente che con buona probabilità dovrai pagare l'imposta sulla plusvalenza generata dalla cessione a titolo oneroso dell’immobile. In questa guida illustreremo nel dettaglio che cos’è, come funziona, come si calcola la plusvalenza immobiliare e perché in Italia è sottoposta a tassazione.
Per plusvalenza immobiliare si intende la differenza algebrica positiva tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto di un immobile.
Facciamo subito un esempio pratico. Supponiamo di aver acquistato un appartamento per il prezzo di 150.000 euro e di riuscire a rivenderlo un anno dopo a 180.000 euro. La plusvalenza si calcola sottraendo il costo di acquisto al prezzo di vendita:
Plusvalenza = prezzo di vendita - costo di acquisto
180.000 euro - 150.000 euro = 30.000 euro
I 30.000 euro che rappresentano la differenza tra il prezzo di rivendita e quello di acquisto costituiscono la plusvalenza.
La plusvalenza immobiliare si riferisce, pertanto, al profitto che puoi realizzare se rivendi una proprietà a un prezzo superiore a quello per cui l’hai acquistata.
Acquistare un’unità abitativa e rivenderla a un prezzo più elevato genera un profitto che, in Italia, è sottoposto a tassazione da parte dello Stato.
La tassazione è dovuta quando la vendita è eseguita con intento speculativo, ovvero quando tra l'acquisto e la cessione a titolo oneroso dell’immobile trascorrono meno di 5 anni. In caso di atti di speculazione immobiliare, la plusvalenza rappresenta un reddito conseguito dal proprietario con la vendita dell’immobile e viene, pertanto, tassata come tale.
Se la vendita avviene dopo almeno un quinquennio dall’acquisto non è considerata speculativa e l’eventuale plusvalenza immobiliare non viene tassata.
A regolamentare la tassazione sulla plusvalenza immobiliare sono gli articoli 67 e 68 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), emanato con il decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 22 dicembre 1986, che illustrano dettagliatamente come calcolarla e pagarla.
La tassazione sulla plusvalenza immobiliare si applica non solo alla vendita di unità abitative ma anche di fabbricati e terreni agricoli o edificabili acquistati da non più di 5 anni.
La plusvalenza generata dalla vendita speculativa di immobili, fabbricati e terreni agricoli o edificabili concorre, infatti, alla formazione del reddito di chi vende e a un incremento del suo patrimonio. Per questo motivo è soggetta a tassazione ordinaria nell'anno in cui il corrispettivo per la vendita dell’immobile viene incassato.
Il conteggio preventivo dell’imposta sulla plusvalenza generata dalla cessione di un bene è utile per definire con precisione il rapporto tra i costi e i benefici della vendita dello stesso.
L’imposta sulla plusvalenza immobiliare è la principale tassa che grava su chi vende un immobile. Ricordiamo, infatti, che l'imposta sull'incremento di valore degli immobili (INVIM), istituita dal decreto del Presidente della Repubblica numero 643 del 26 ottobre 1972, è stata abolita nel 2001.
Puoi scegliere di pagare la plusvalenza in due modi, che illustriamo dettagliatamente di seguito.
Con tassazione ordinaria in sede di dichiarazione dei redditi | Durante il rogito di vendita |
La plusvalenza immobiliare può essere inserita sotto la voce “redditi diversi” della dichiarazione dei redditi. In questo caso l’imposta è calcolata in base all’aliquota IRPEF relativa allo scaglione di reddito in cui rientri. L’aliquota varia in base al reddito partendo dal 23%. | Puoi chiedere in sede di rogito di applicare l’imposta sostitutiva nella misura del 26%, da pagare il giorno stesso in cui avviene la sottoscrizione dell'atto di vendita dell'immobile. Per usufruire di questa modalità di tassazione è necessario presentarne richiesta al notaio all’atto della cessione. Questo tipo di tassazione non può essere scelto successivamente alla chiusura del rogito. In caso di beni cointestati è necessario che a farne richiesta siano tutti i venditori. |
L’imposta sulla plusvalenza immobiliare si calcola, quindi, come aliquota IRPEF sugli scaglioni di reddito o come imposta sostitutiva al 26%. In entrambi i casi la percentuale si calcola esclusivamente sul valore della plusvalenza, ossia sulla differenza che intercorre tra il costo di acquisto e il corrispettivo incassato per la vendita dell’immobile.
Ricordiamo che la Legge di Bilancio 2023, attualmente in vigore, fissa quattro scaglioni IRPEF con aliquote di tassazione incrementali all’aumentare del reddito. Li indichiamo sinteticamente di seguito:
Come puoi vedere, dal secondo scaglione di reddito in poi conviene scegliere l’aliquota sostitutiva fissa al 26%.
Per calcolare la plusvalenza immobiliare si sottrae il costo di acquisto o di costruzione al prezzo di rivendita. Alla differenza ricavata vengono applicate le relative aliquote di tassazione, che variano a seconda che si scelga di pagare l’imposta sotto forma di IRPEF o come imposta sostitutiva al 26% durante il rogito di vendita.
Facciamo due esempi pratici.
Supponiamo di avere un immobile acquistato per 250.000 euro e venduto a 350.000 euro dopo 3 anni di possesso. In questo caso quanto è la plusvalenza immobiliare? Sottraendo 250.000 euro a 350.000 euro otteniamo una plusvalenza di 100.000 euro. L'aliquota sostitutiva fissa è del 26%, quindi l'imposta sulla plusvalenza sarà:
100.000 euro * 26% imposta sostitutiva = 26.000 euro
Ipotizzando di avere una plusvalenza di 100.000 euro, con l'aliquota sostitutiva fissa sull'imposta sulla plusvalenza generata dalla cessione dell’immobile l'importo da versare sarebbe, quindi, di 26.000 euro.
Vediamo, invece, come verrebbe calcolata l’imposta scegliendo di versarla in sede di dichiarazione dei redditi. L'aliquota fiscale relativa al primo scaglione di reddito è del 23%. Considerando una plusvalenza di 100.000 euro come nell’esempio precedente, l'imposta dovuta sarebbe di 23.000 euro effettuando il seguente calcolo:
100.000 euro * 23% aliquota IRPEF = 23.000 euro
Come accennato, dal secondo scaglione di reddito in poi è consigliabile scegliere l’aliquota sostitutiva fissa al 26%.
Prima di calcolare l’imposta sulla plusvalenza è possibile detrarre alcune spese. Ricollegandoci agli esempi precedenti, immaginiamo di aver svolto lavori di miglioramento o di risanamento dell’immobile nel periodo in cui ne siamo stati in possesso. In questo caso, prima di sottrarlo al prezzo di rivendita, è opportuno aggiungere al costo di acquisto le eventuali spese per il miglioramento dell’immobile.
Ai fini del calcolo della base imponibile sulla plusvalenza immobiliare è necessario che gli interventi in questione siano effettivamente delle migliorie. Le ordinarie operazioni di manutenzione non rientrano in questa categoria.
Qui di seguito, un elenco completo delle spese che possono essere sottratte al calcolo della plusvalenza:
Per essere sottratte al calcolo della plusvalenza immobiliare, le spese in questione devono essere fiscalmente riconosciute e documentabili, al lordo dell’IVA.
Offriamo di seguito una panoramica dei casi in cui è previsto il pagamento dell’imposta sulla plusvalenza immobiliare:
L’imposta sulla plusvalenza si applica sempre in caso di vendita di terreni edificabili. Quindi, se vendi un terreno con potenziale utilizzazione edificatoria, dovrai pagare l’imposta sulla plusvalenza sia prima che dopo i 5 anni di proprietà e anche qualora il terreno fosse stato ereditato.
L’imposta sulla plusvalenza immobiliare non si paga quando:
Non si considera come operazione speculativa la vendita di un immobile adibito ad abitazione principale del venditore per almeno il 50% del tempo di proprietà, come indicato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza numero 30180 del 26 ottobre 2021.
Per evitare di pagare l’imposta sulla plusvalenza immobiliare conviene attendere che trascorrano almeno 5 anni dall’acquisto del bene per rivenderlo. In alternativa, potresti adibire l’immobile ad abitazione principale per almeno il 50% del tempo di proprietà.
Nella compravendita di un immobile il venditore deve pagare la tassa sulla plusvalenza immobiliare se, entro 5 anni dall’acquisto, rivende tale proprietà a un prezzo superiore a quello per cui l’ha acquistata.
No, l’Agenzia delle Entrate non considera la vendita di beni ereditati come atti di speculazione immobiliare.
Sì, se metti in vendita un immobile che il donante ha acquistato meno di 5 anni prima. In caso di vendita di un immobile ricevuto in donazione, nel calcolo dei 5 anni non si considera la data in cui il bene è stato donato ma quella in cui chi dona lo ha acquistato o costruito. In questo caso la plusvalenza immobiliare si calcola sottraendo all'importo della vendita incassato dal donatario il costo di acquisto o costruzione sostenuto a suo tempo dal donante.