Un lettore ci chiede se, per beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’imposta municipale unica (IMU), possa trasferire la residenza nella casa vacanze. Facciamo luce su questo argomento, da non prendere alla leggera perché potrebbe implicare conseguenze non indifferenti dal punto di vista fiscale, amministrativo e penale.
Ogni cittadino, secondo quanto sancito dalla legge numero 1228 del 24 dicembre 1954, ha l’obbligo legale di registrare la propria residenza presso l’ufficio dell’anagrafe del comune in cui vive abitualmente per la maggior parte del proprio tempo.
Il secondo comma dell’articolo 43 del codice civile precisa che il luogo in cui un soggetto stabilisce la propria residenza anagrafica debba necessariamente corrispondere alla dimora abituale e volontaria, ossia il luogo in cui abbia deciso di vivere stabilmente, con la volontà e l’intenzione di permanervi a lungo in modo continuativo, permanente e duraturo.
La residenza può essere soltanto una e deve necessariamente corrispondere all’indirizzo dell’abitazione principale, come ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 1738 del 14 marzo 1986.
Pertanto, la legge non consente di avere una residenza di comodo per ottenere benefici fiscali e agevolazioni sociali, tra cui l’esenzione dal pagamento dell’imposta municipale unica (IMU). Stabilire la propria residenza nella casa vacanze in modo che risulti come abitazione principale e non sia assoggettata al pagamento dell'IMU non è possibile.
Per poter fissare la propria residenza nella casa vacanze è necessario che il richiedente risieda effettivamente in loco. Non si può, quindi, stabilire la propria residenza in un secondo immobile di proprietà se non vi si dimora stabilmente, proprio perché, così facendo, si verrebbe a creare un’incongruenza tra la residenza anagrafica, ossia il dato che risulta dal registro dell’anagrafe civile, e la dimora abituale, ossia il luogo ove materialmente si vive.
Con l’ordinanza numero 13241 del 28 maggio 2018, la Corte di Cassazione ha ribadito che un cittadino non possa richiedere l’iscrizione all’anagrafe del comune in cui si trova il suo secondo immobile di proprietà adibito ad alloggio in cui trascorrere periodi di villeggiatura, proprio perché non si tratta dell’abitazione in cui dimora effettivamente.
Come indicato dal suddetto articolo 43 del codice civile e dall’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica numero 223 del 30 maggio 1989, per poter fissare la propria residenza in un determinato luogo è necessario rispettare i seguenti requisiti.
Gli ufficiali dell’anagrafe sono autorizzati a effettuare in qualsiasi momento accertamenti e sopralluoghi per verificare la veridicità e la sussistenza del requisito della dimora abituale e stabile permanenza di chi risulta essere residente in quello specifico comune.
Tali accertamenti sono solitamente effettuati con la collaborazione dei corpi di polizia municipale o di altro personale comunale debitamente autorizzato.
Se, a seguito di ripetuti sopralluoghi opportunamente intervallati, un residente risulta sempre irreperibile e assente dall’abitazione indicata come luogo di residenza, può essere emesso un provvedimento di cancellazione del suo nominativo dai registri dell’anagrafe, con esortazione a aggiornare la residenza e spostarla nell’abitazione in cui realmente risiede.
L’irreperibilità e l’assenza del soggetto possono essere dimostrate anche da infruttuosi tentativi dell’amministratore di condominio di recapitare comunicazioni brevi manu all’interessato, alla cassetta della posta che non viene svuotata con regolarità e dalle raccomandate che puntualmente tornano al mittente per compiuta giacenza.
Al fine di verificare se un immobile sia effettivamente abitato con continuità, gli ufficiali dell’anagrafe sono legittimati a richiedere copia delle bollette relative a energia elettrica, acqua e gas naturale agli enti fornitori di utenze domestiche. Consumi sporadici o irrisori dimostrerebbero che l’immobile non sia effettivamente adibito a dimora abituale.
Nel caso in cui non risulti un effettivo radicamento del cittadino nel territorio del comune, la residenza può essere revocata.
Se, quindi, il soggetto non fruisce in alcun modo dei servizi offerti dal comune in cui risulta essere residente, come, per esempio, il medico di base, l’ufficio postale, la biblioteca e la piattaforma ecologica comunale, e se, nonostante l’iscrizione alla lista elettorale, non si rechi mai alle urne, si evince che di fatto non viva abitualmente nel luogo dichiarato come residenza.
Essere proprietari di più immobili non significa che si sia liberi di scegliere a proprio piacimento dove fissare la residenza. In presenza di più immobili accatastati separatamente, solo uno potrà essere considerato dimora abituale. La residenza, come abbiamo visto, deve obbligatoriamente corrispondere all’abitazione principale, dove davvero si vive in modo continuativo, stabile, costante e permanente.
Non è consentito fissare la propria residenza in una casa in cui ci si reca solo per qualche settimana di villeggiatura durante le ferie estive e che nel resto dell’anno rimane costantemente disabitata perché materialmente si abita altrove.
Se gli ufficiali dell’anagrafe si accorgono che un cittadino non sia effettivamente presente nel luogo che ha indicato come dimora abituale, possono, innanzitutto, revocare la residenza e ripristinarla presso quella precedente. La legge, come abbiamo visto, non ammette la possibilità di avere una falsa residenza per ottenere benefici fiscali.
Dal punto di vista prettamente tributario, il comune può pretendere il pagamento dell’IMU non versata dal contribuente nell’ultimo quinquennio.
E c’è di più. Fissare la propria residenza in un luogo che non corrisponde alla dimora abituale costituisce un reato di falso in atto pubblico, dacché deliberatamente si è dichiarato il falso all’ufficiale dell’anagrafe.
Dichiarando all’ufficio pubblico dell’anagrafe un dato non corrispondente al vero al fine di risultare residenti in un luogo in cui, nei fatti, non si dimora abitualmente si rischia una denuncia per falso in atto pubblico, incluso, come indicato dall’articolo 479 del codice penale e successivi, tra i delitti contro la fede pubblica. Si tratta di un illecito punibile con pesanti sanzioni pecuniarie e che può altresì avere risvolti penali. L’orientamento giurisprudenziale è divenuto più rigido in tal senso rispetto al passato.
Supponiamo di acquistare un bilocale sito all’interno di un residence in una località di villeggiatura. Il venditore o l’impresa costruttrice non possono impedirci di stabilire la nostra residenza nell’immobile che ci accingiamo ad acquistare, a prescindere dal fatto che si tratti di una proprietà ubicata in uno stabile realizzato con l’obiettivo di fungere da casa vacanze.
Anzi, se siamo intenzionati a trasferirci in tale località con l’intenzione di abitarci a lungo in modo stabile e permanente, scatta l’obbligo, in ottemperanza a quanto disposto sia dall’articolo 2 della suddetta legge numero 1228 del 24 dicembre 1954 che dall’ordinanza numero 25726 del 1° dicembre 2011 della Corte di Cassazione, di fissare la residenza, dandone comunicazione all'ufficio dell’anagrafe sia del comune che lasciamo che di quello dove ci stiamo trasferendo.
Abbiamo, quindi, pienamente diritto di adibire ad abitazione principale e dimora abituale l’immobile che abbiamo acquistato e di fissarvi la residenza anagrafica se risiediamo stabilmente in loco, a prescindere dal fatto che l’immobile in questione fosse stato costruito per fungere da casa vacanze.
Se, al contrario, l’abitazione viene utilizzata solo occasionalmente per brevi periodi di villeggiatura o viene concessa in locazione, stabilirvi la residenza non è consentito perché la residenza non corrisponderebbe alla dimora abituale.
Spostare la propria residenza in un luogo in cui effettivamente non si abita non è consentito. Fornire una falsa dichiarazione è un illecito che implica pesanti sanzioni.
Il proprietario può conservare la propria residenza in un’abitazione che ha concesso in locazione se l’affitto riguarda solo una porzione della stessa, se le utenze di fornitura rimangono intestate a suo nome e se mantiene l'uso di una o più stanze nell'immobile locato.
Se si possiede un immobile in una località di interesse storico-culturale, archeologico, naturalistico e turistico, lo si può destinare ai brevi affitti turistici, regolamentati dall’articolo 4 del decreto legge numero 50 del 24 aprile 2017, e fruirne personalmente negli eventuali periodi di sfitto. Convertire una proprietà in una residenza per soggiorni turistici di breve-media durata implica che ci si debba occupare di prenotazioni, consegna delle chiavi agli ospiti, igienizzazione e sopralluoghi pre e post-soggiorno. Se pensi che sia un impegno troppo gravoso, puoi affidare la gestione dell’immobile a un’agenzia specializzata.
Le brevi locazioni turistiche sono un’opzione ideale per chi possiede fino a quattro immobili e desidera affittarli per brevi periodi senza dover necessariamente aprire la partita IVA e iscriversi alla Camera di Commercio e gestire un'attività imprenditoriale a tutti gli effetti.