Residenza e dimora abituale sono due concetti differenti ma è necessario che coincidano e convergano nello stesso luogo. Se così non fosse, si è in presenza di un illecito, giacché all’ufficio dell’anagrafe è stato dichiarato un dato che non corrisponde al vero. Facciamo chiarezza sul significato di residenza e dimora abituale, la differenza tra i due concetti e i rispettivi effetti giuridici.
La dimora abituale è il luogo in cui un cittadino vive stabilmente per la maggior parte del proprio tempo. Come stabilito dalla legge numero 1228 del 24 dicembre 1954, ogni cittadino italiano ha l’obbligo legale di registrare la propria residenza presso l’ufficio anagrafe del comune in cui dimora abitualmente. La residenza è, quindi, il dato formale che risulta dal registro dell’anagrafe civile del comune di riferimento.
Il secondo comma dell’articolo 43 del codice civile definisce, appunto, la residenza come il luogo in cui una persona ha la dimora abituale. Ne consegue che l’indirizzo che un soggetto comunica all’ufficio dell’anagrafe a titolo di residenza debba necessariamente corrispondere al luogo in cui davvero dimora abitualmente, in modo continuativo, stabile, costante, permanente e, quindi, non occasionale, sporadico o temporaneo. In presenza di più immobili accatastati separatamente, solo uno potrà essere considerato dimora abituale.
Qualora residenza e dimora abituale non coincidessero, si è in presenza di un illecito.
Non è raro che i cittadini fissino una residenza formale, di comodo, in un luogo diverso dalla dimora abituale per ottenere benefici fiscali e agevolazioni sociali, tra cui l’esenzione dal pagamento dell’imposta municipale unica (IMU).
Così facendo si viene a creare un’incongruenza tra la residenza anagrafica, ossia il dato che risulta dal registro dell’anagrafe civile, e la dimora abituale, ossia il luogo ove concretamente il soggetto vive.
Fissare la propria residenza in un luogo che non corrisponde alla dimora abituale costituisce un reato di falso in atto pubblico, dacché deliberatamente si è dichiarato all’ufficio dell’anagrafe un dato che, nei fatti, non corrisponde al vero.
Il certificato di residenza, quindi, non è detto che rappresenti una prova inconfutabile e inequivocabile di dove un soggetto effettivamente abiti. La residenza anagrafica è un elemento prettamente formale.
Ebbene, proprio per evitare raggiri di questo genere, l’articolo 13 del decreto legge numero 201 del 6 dicembre 2011 stabilisce che, per poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IMU, è necessario che l’immobile in questione sia non solo il luogo di residenza ma anche la dimora abituale del proprietario e dei suoi familiari. Se ci vive ma non vi ha fissato la residenza o, viceversa, vi ha formalmente fissato la residenza ma concretamente vive altrove, non può avvalersi dell’esenzione.
Registrando la residenza presso l'ufficio anagrafe di un comune in cui, di fatto, non si risiede abitualmente si commette un reato di falso in atto pubblico, incluso, come indicato dall’articolo 479 del codice penale e successivi, tra i delitti contro la fede pubblica.
Dichiarare all’ufficio pubblico dell’anagrafe un dato non corrispondente al vero al fine di risultare residente in un luogo in cui, nei fatti, non si dimora abitualmente costituisce un reato non solo punibile con pena pecuniaria ma che può avere anche risvolti penali di rilievo.
La dimora, dal verbo latino morari che letteralmente significa “trattenersi”, è il luogo in cui un soggetto alloggia abitualmente o temporaneamente.
Con l’espressione dimora abituale o fissa si intende il luogo in cui un soggetto abita stabilmente per la maggior parte del proprio tempo, dedicandosi con continuità alle sue normali attività, consuetudini di vita e relazioni sociali. La permanenza volontaria, continuativa, stabile, costante e non occasionale, sporadica o transitoria in un determinato luogo definisce la dimora abituale, che coincide, pertanto, con il luogo di residenza.
Se il soggetto in questione prevede di abitare stabilmente e a lungo in un determinato luogo, è tenuto a stabilirvi la propria residenza, come ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 25726 del 1° dicembre 2011.
La dimora può essere abituale o temporanea. La dimora abituale è, come abbiamo visto, il luogo in cui un soggetto vive stabilmente. Può trattarsi di un’abitazione di proprietà, su cui esercita un diritto di usufrutto o che gli è stata concessa in locazione o comodato d’uso.
La dimora temporanea rappresenta, invece, il luogo in cui si trascorrono occasionalmente periodi di tempo più o meno prolungati. Si pensi, per esempio, a una seconda casa di proprietà o a una struttura alberghiera in cui si trascorrono periodi di villeggiatura nella stagione estiva. O ancora, a lavoratori che si stabiliscono momentaneamente in località diverse dalla residenza per l'esercizio di occupazioni stagionali o studenti coinvolti nel progetto Erasmus che trascorrono un trimestre all’estero.
Dal punto di vista anagrafico, la dimora temporanea non necessita del rilascio di appositi certificati anagrafici o analoga documentazione, né di specifiche dichiarazioni o aggiornamento di registri.
Come abbiamo visto, fissare di proposito la propria residenza in un luogo in cui si alloggia solo occasionalmente al fine di ottenere benefici fiscali, come l’esenzione IMU, costituisce un reato di falso in atto pubblico.
Gli ufficiali dell’anagrafe sono autorizzati a effettuare in qualsiasi momento accertamenti e sopralluoghi per verificare la veridicità e la sussistenza del requisito della dimora abituale di chi risulta essere residente in quello specifico comune.
Tali accertamenti sono solitamente effettuati con la collaborazione dei corpi di polizia municipale o di altro personale comunale debitamente autorizzato.
Ebbene, se a seguito di ripetuti sopralluoghi opportunamente intervallati un residente risulta irreperibile e assente dall’abitazione indicata come luogo di residenza, può essere emesso un provvedimento di cancellazione del suo nominativo dai registri dell’anagrafe del comune in cui ha fissato la residenza.
Per dimostrare di risiedere stabilmente in uno specifico luogo ci si può servire di qualsiasi indizio che possa rivelarsi funzionale a tale scopo. La legge non impone specifiche restrizioni in tal senso.
Per dare prova che un luogo rappresenti la propria dimora abituale si può ricorrere all’esibizione di contratti di utenze domestiche relative alla fornitura di energia elettrica, acqua e gas naturale e singole bollette relative ai consumi, come indicato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 8627 del 28 marzo 2019.
I consumi energetici e di acqua e gas possono dare prova della presenza continuativa, stabile e costante nel corso dell’anno di un soggetto nell’immobile indicato come sua dimora abituale e residenza.
La residenza corrisponde, secondo quanto indicato dal suddetto articolo 43 del codice civile, al luogo in cui un soggetto ha la sua dimora abituale e una relazione di fatto data dallo svolgimento continuativo di attività di vita quotidiana, consuetudini e relazioni sociali, come indicato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 13241 del 25 maggio 2018.
La residenza è, quindi, il luogo in cui un soggetto ha la dimora abituale, differente dalla dimora temporanea che, come abbiamo visto, può essere una seconda casa in cui trascorrere occasionalmente periodi di villeggiatura.
Quando ci si trasferisce in una località con l’intenzione di abitarvi in modo permanente, scatta l’obbligo, in ottemperanza a quanto disposto dall’articolo 2 della suddetta legge numero 1228 del 24 dicembre 1954, di darne comunicazione all'ufficio anagrafe sia del comune che si lascia che di quello dove si fissa la nuova residenza.
Proprio per questa finalità, presso ogni comune è stato istituito un registro anagrafico a cui i cittadini che lì vivono stabilmente sono tenuti a iscriversi. Dunque la residenza corrisponde al dato formale che risulta dal registro dell’anagrafe civile.
La dimora abituale è il luogo in cui un soggetto concretamente vive per gran parte dell’anno. Ogni persona deve risultare residente dove dimora in via abituale. In caso contrario, si è in presenza di un illecito. Quindi dimora abituale e residenza devono coincidere.
Può darsi che la residenza corrisponda anche al domicilio. Entrambi servono ad associare un cittadino a uno specifico luogo fisico. Il domicilio e la residenza hanno, infatti, entrambi la funzione di rendere reperibile un soggetto, specialmente per comunicazioni da parte della pubblica amministrazione e atti dell’autorità giudiziaria. Approfondiamo insieme.
Sempre il sopraindicato articolo 43 del codice civile definisce il domicilio come il luogo in cui un soggetto stabilisca liberamente la sede principale dei propri affari e interessi. Si tratta del luogo in cui una persona conduce le proprie attività principali, siano esse professionali, finanziarie o commerciali.
Come stabilito dal comma 2 dell’articolo 44 del codice civile, domicilio e residenza possono coincidere. In tal caso non v’è differenza alcuna tra i due istituti. Stabilire domicilio e residenza in due luoghi diversi ha una funzionalità pratica. Eleggendo un domicilio diverso dalla residenza si evita di ricevere presso la propria dimora abituale corrispondenza che riguarda l’ambito professionale e viceversa.
Per dimostrare la dimora abituale a fini IMU puoi ricorrere a qualsiasi mezzo all’uopo idoneo, a iniziare dall’esibizione delle bollette di luce, gas e acqua con dettaglio degli effettivi consumi, che dimostrino la tua presenza continuativa, stabile e costante nel corso dell’anno nel luogo indicato come dimora abituale.
Se ti trasferisci in una località con l’intenzione di abitarci stabilmente occorre richiedere il cambio di residenza. Il domicilio, invece, è associato alla sede delle attività lavorative, commerciali o finanziarie. Se il domicilio non coincide con la residenza, non occorre eseguire alcun aggiornamento.