La successione mortis causa impone una serie di adempimenti fiscali. Entro un anno dall’apertura della procedura, gli eredi devono presentare all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di successione, funzionale al pagamento dell’imposta di successione. Vediamo di cosa si tratta.
Chi riceve in eredità beni immobili deve presentare la dichiarazione di successione all’Agenzia delle Entrate entro 12 mesi dalla data di apertura della procedura e versare, se dovuta, l’imposta di successione, che prevede aliquote diverse a seconda del grado di parentela che lega erede e defunto.
Nel dettaglio, secondo quanto indicato dall’articolo 2, comma 48, del decreto legge numero 262 del 3 ottobre 2006, l’imposta di successione si applica con aliquote diverse a seconda del grado di parentela e affinità che lega erede e defunto:
Questo tributo fu introdotto dal decreto legislativo numero 346 del 31 ottobre 1990, ridotto nel 2000 dal governo Amato 2 e abolito nel 2001 dal secondo governo Berlusconi. Fu poi ripristinato nella forma attuale dal governo Prodi 2 con la legge numero 286 del 24 novembre 2006.
L’imposta di successione si paga all’Agenzia delle Entrate quando si ricevono in eredità beni immobili. Occorre, innanzitutto, presentare un prospetto di pagamento delle imposte. L’Agenzia, dopo aver effettuato le necessarie verifiche, invia un atto contenente le informazioni per procedere con il pagamento.
L’imposta di successione non si paga direttamente attraverso la dichiarazione di successione, come avviene per altri tributi. Dopo la presentazione della dichiarazione di successione, l’Agenzia delle Entrate effettua i dovuti controlli e procede, entro tre anni, con l’emissione di un avviso di accertamento, all’apparenza simile a una cartella esattoriale, con cui richiede il versamento dell’imposta dovuta.
L’erede, entro 60 giorni dal ricevimento di tale avviso, è tenuto a versare il dovuto tramite il modello F24 allegato alla comunicazione stessa. Il pagamento può essere effettuato in banca, presso gli uffici postali o presso gli sportelli territoriali dell’Agenzia delle Entrate preposti alla riscossione. Per importi sostanziosi è possibile rateizzare il pagamento dell'imposta.
Non sempre i beni ereditati sono sottoposti a tassazione da parte dello Stato. Ci sono casi in cui si possono trasmettere beni in eredità senza che si renda necessario il versamento dell’imposta di successione. Lo Stato prevede, come accennato, delle franchigie, ovvero delle soglie di valore al di sotto delle quali l’imposta di successione non va pagata.
Il coniuge e i parenti in linea retta, sia ascendenti che discendenti, versano un’aliquota del 4% ma hanno una franchigia di un milione di euro. I fratelli e le sorelle pagano il 6% ma, come abbiamo visto, con una franchigia di 100.000 euro. Questo meccanismo determina che sovente l’imposta di successione non debba essere versata poiché si rimane al di sotto della soglia di esenzione.
La franchigia si calcola sul valore della quota attribuita a ciascun erede e non sul patrimonio complessivo lasciato dal defunto. Ipotizziamo, per esempio, che i beni del de cuius siano devoluti al coniuge e ai due figli. Ognuno ha diritto alla franchigia di un milione di euro. Per altri parenti e soggetti terzi, invece, non è prevista alcuna franchigia e l’imposta di successione deve essere versata in ogni caso.
Oltre alle suddette franchigie di 100.000 euro e un milione di euro, vi è un’ulteriore franchigia pari a 1,5 milioni di euro per i trasferimenti effettuati in favore di soggetti affetti da grave disabilità, ai sensi della legge numero 104 del 5 febbraio 1992.
L’imposta di successione varia, come abbiamo visto, in base al grado di parentela e affinità che lega erede e defunto nonché alla tipologia di bene.
Per calcolare l’imposta di successione occorre rivalutare la rendita catastale del 5% e moltiplicarla per uno dei seguenti coefficienti:
Per i beni immobili, va quindi considerato il valore catastale, non il valore di mercato.
Vediamo in concreto come si calcola l'imposta di successione con una serie di esempi.
Supponiamo che, malauguratamente, venga a mancare un genitore, che lascia in eredità al figlio un appartamento di grande metratura, del valore di 300.000 euro. In questo caso, trattandosi di una cifra inferiore a un milione di euro, non è previsto il versamento dell’imposta.
Ipotizziamo, invece, che l’immobile in questione sia una villa unifamiliare recentemente ristrutturata, del valore di 1.100.000 euro. In questo caso, sulla parte eccedente di 100.000 euro si applicherà l’aliquota del 4%.
Eseguiamo il seguente calcolo:
4% × 100.000 euro = 0,04 × 100.000 = 4000 euro
Il figlio che riceve in eredità la villa dovrà versare un’imposta di successione di 4000 euro.
Ipotizziamo, invece, che il defunto non abbia figli e lasci in eredità l’appartamento del valore di 300.000 euro al fratello minore. In questo caso la franchigia è di 100.000 euro. Si applica, quindi, l’aliquota del 6% agli eccedenti 200.000 euro.
Eseguiamo il seguente calcolo:
6% × 200.000 euro = 0,06 × 200.000 = 12.000 euro
L’importo che il fratello dovrà versare è, in questo caso, 12.000 euro.
L’imposta di successione è dovuta allo Stato da parte degli eredi e dei legatari, in base alla propria quota di eredità.
Risulta esonerato dal pagamento delle imposte di successione chi abbia rinunciato all’eredità anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione di successione.
No, è possibile mettere in vendita un immobile ereditato solo una volta pagate le imposte dovute.
Lo Stato pretende anche il versamento dell’imposta ipotecaria, catastale e di bollo.
In caso di mancato pagamento è prevista la riscossione coattiva, che prevede l’applicazione di interessi e pesanti sanzioni pecuniarie.