Fino a tempi non troppo remoti capitava piuttosto frequentemente che, per pagare meno tasse e avere un qualche beneficio, l’acquirente e il venditore si accordassero per indicare di proposito nell’atto di compravendita di un immobile un prezzo inferiore a quello effettivo. Ora vengono attuati controlli più severi sulle compravendite immobiliari e norme ad hoc sono state introdotte proprio per scoraggiare acquirenti e venditori dal mettere in atto mosse azzardate di questo tipo. Vediamo, quindi, cosa succede se il fisco rileva incongruenze, quali sono le conseguenze e perché la legge impone che si proceda con la vendita di un immobile a prezzo superiore al valore catastale.
Nel tentativo di ridurre la tassazione negli atti di compravendita si può essere tentati di dichiarare un prezzo inferiore a quello pattuito e saldare la differenza in nero in un secondo momento. Ebbene, se il fisco rileva un gap tra il prezzo di vendita indicato nel rogito e il valore catastale dell’immobile in questione scatta l’accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate a carico sia dell’acquirente che del venditore.
L’Agenzia ha pieno diritto di effettuare accertamenti di valore sulle compravendite immobiliari proprio al fine di verificare la corrispondenza del prezzo di vendita dichiarato nel contratto di compravendita al valore catastale del bene.
Se dai controlli emerge che effettivamente il valore dichiarato dalle parti risulti essere inferiore a quello effettivamente corrisposto dall’acquirente, l’Agenzia delle Entrate procede con:
Alle imposte non corrisposte si aggiungono sanzioni pecuniarie e interessi che possono addirittura arrivare al 200% di quanto non versato, secondo quanto sancito dall’articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica numero 131 del 26 aprile 1986.
Se il prezzo di vendita è superiore al valore catastale dell’immobile, il fisco non si allerta e non viene disposto alcun accertamento specifico. Quindi, affinché l’operazione proceda regolarmente, tutto fili liscio e il fisco non si insospettisca, è essenziale che il valore catastale dell’immobile oggetto di vendita sia inferiore al valore di mercato.
Come sancito dall’articolo 35 della legge numero 248 del 4 agosto 2006, l’Agenzia delle Entrate potrebbe eventualmente eseguire controlli nel caso in cui venissero comunque riscontrate somme ingiustificatamente versate dall’acquirente al venditore e, in generale, movimenti di denaro in conto corrente non riconducibili a specifici pagamenti legati all’operazione di compravendita immobiliare.
Dichiarare un prezzo diverso da quello pattuito a fini di risparmio fiscale comporta con buona probabilità controlli e accertamenti da parte dell'AE a carico di ambo le parti coinvolte nella compravendita.
Per effettuare gli accertamenti di valore sulle compravendite di beni immobili l’Agenzia dispone di un vasto arsenale di validi strumenti e risorse, che illustriamo di seguito.
Se i controlli confermano i sospetti del fisco, l’acquirente e il venditore si vedranno recapitare un avviso di accertamento esecutivo e una cartella di pagamento per la compravendita avvenuta. Come accennato, non solo sarà richiesto l’immediato pagamento delle imposte evase, ma verranno applicate pesanti sanzioni e interessi che partono come minimo dal 100% di quanto non versato.
Dichiarare un prezzo non conforme al valore di mercato per pagare meno tasse, a partire dall’imposta di registro, è una mossa azzardata.
Il tanto agognato risparmio, alla prova dei fatti, difficilmente riceve conferma. Le conseguenze a cui si va incontro nel caso in cui il fisco scoprisse che nell’atto notarile sia stato deliberatamente indicato un prezzo difforme dal valore di mercato e la differenza sia stata saldata in nero sono ben più pesanti di quanto ipoteticamente risparmiabile mettendo in atto una simile mossa.
La vendita di immobili a prezzo troppo basso può, quindi, avere pesantissime ripercussioni dal punto di vista finanziario, fiscale e legale.
Il valore minimo da indicare nell’atto di vendita, per scongiurare il rischio di incorrere in controlli e accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, deve essere almeno pari alla rendita catastale del bene moltiplicata per:
Le cifre indicate sono i cosiddetti coefficienti catastali, stabiliti dal decreto del Ministero delle finanze del 14 dicembre 1991, che, come si evince, cambiano a seconda della destinazione d’uso dell’immobile e della categoria catastale a cui lo stesso è ascrivibile.
Facciamo degli esempi concreti. Supponiamo di voler acquistare la prima casa da adibire ad abitazione principale. L’immobile di nostro interesse ha una rendita catastale di 900 euro. Moltiplichiamo questa cifra per il coefficiente di 115,5 e otteniamo un valore catastale di 103.950 euro. Per evitare di incorrere in accertamenti fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate, è opportuno fissare un prezzo di vendita superiore a tale cifra.
Ipotizziamo ora di voler acquistare una seconda casa in un comune montano, con una rendita catastale di 600 euro. Le abitazioni definite seconde case fanno parte del gruppo catastale A, a cui corrisponde, come abbiamo visto, un coefficiente catastale pari a 126. Moltiplichiamo, quindi, la rendita catastale per 126 e otterremo il valore catastale dell’immobile, 75.600 euro. Fissando un prezzo di vendita superiore a tale importo il fisco non dovrebbe insospettirsi e allertarsi.
Il valore dichiarato nel rogito notarile è l’importo monetario a cui è effettivamente avvenuta la vendita dell’immobile. In base a quanto stabilito dalla suddetta legge numero 248 del 4 agosto 2006, l’atto di compravendita deve espressamente riportare tale importo, che deve essere in linea con il valore di mercato e catastale del bene.
Il valore catastale si ottiene moltiplicando la rendita catastale del bene in questione per un coefficiente che, come abbiamo visto, varia a seconda della categoria. Rappresenta il parametro da cui partire per applicare la tassazione prevista in caso di passaggio di proprietà per compravendita, quali:
Il valore di mercato si calcola, invece, in base alle quotazioni al metro quadro per gli immobili con caratteristiche simili a quello osservato, basandosi sui dati relativi a compravendite avvenute di recente nella medesima area geografica. Come punto di riferimento ci sono le summenzionate banche dati dell’OMI e i cosiddetti borsini immobiliari relativi ai vari comuni e quartieri.
Determinare il prezzo di vendita di un immobile è un’operazione che in genere coinvolge il proprietario, l’acquirente e l’agente immobiliare, il professionista che funge da intermediario tra le parti coinvolte nella trattativa al fine di trovare soluzioni soddisfacenti per tutti.
Il valore catastale, basato su parametri fissati dal catasto e usato per fini fiscali, è solitamente inferiore al valore commerciale, che riflette il prezzo di mercato di un immobile e dipende da una pluralità di fattori, tra cui la posizione, la domanda e le effettive condizioni dell'immobile.
Se si acquista un immobile a un prezzo più basso del valore di mercato si rischiano accertamenti dell’Agenzia delle Entrate e pesanti sanzioni pecuniarie per le inferiori imposte versate.